L’Italia allo sbando e la svolta dell’8 settembre
L’estate del 1943 segnò una svolta decisiva nella storia d’Italia e nella vita quotidiana di Atina. Dopo la conquista alleata di Pantelleria e Lampedusa nel mese di giugno, il 10 luglio le truppe anglo-americane sbarcarono in Sicilia, costringendo le forze dell’Asse alla ritirata. Pochi giorni dopo, il 25 luglio, il regime fascista crollò: Benito Mussolini fu destituito dal Gran Consiglio e arrestato per ordine del re Vittorio Emanuele III.
Il nuovo governo guidato dal maresciallo Pietro Badoglio avviò negoziati segreti con gli Alleati e il 3 settembre firmò l’armistizio di Cassibile, tenuto nascosto fino all’8 settembre. Quando la notizia della resa divenne pubblica, l’Italia precipitò nel caos. L’esercito si dissolse, i reparti restarono senza ordini, e il Paese si trovò diviso tra la nuova alleanza con gli Anglo-americani e la reazione violenta della Germania nazista, che fino al giorno prima era stata alleata.
Nel frattempo, il 3 settembre, l’VIII Armata del generale britannico Bernard Montgomery attraversava lo Stretto di Messina e sbarcava a Reggio Calabria, per poi proseguire verso Taranto. L’avanzata alleata era ormai inarrestabile.
Il ritorno di Luigi Bastianelli e il caos dei primi giorni
In questo scenario di incertezza e disorientamento, anche ad Atina la guerra fece sentire i suoi primi echi. Luigi Giuseppe Bastianelli, avviere in servizio all’aeroporto di Grazzanise, si trovava nel cuore del disordine: il campo era in preda al panico per l’arrivo dei tedeschi e i bombardamenti americani. In molti, approfittando della confusione, tentarono di tornare alle proprie case.
L’8 settembre, di buon mattino, Luigi si incamminò con un amico abruzzese verso la stazione di Sparanise, sperando di raggiungere Cassino. Le strade erano piene di soldati sbandati e civili spaventati. Alle dieci del mattino, dopo un viaggio estenuante e una bicicletta malandata, Luigi arrivò finalmente ad Atina, accolto con gioia dai familiari e dalla fidanzata Anna Tamburrini. Nessuno, tuttavia, immaginava che quella felicità sarebbe durata poco: la guerra stava per bussare alle porte della Valle di Comino.
9 settembre 1943: arrivano i tedeschi ad Atina
All’alba del 9 settembre, la V Armata americana del generale Mark W. Clark sbarcò nei pressi di Salerno, incontrando la feroce reazione delle truppe tedesche. Quello stesso giorno, ad Atina, comparvero le prime automobili con soldati germanici.
Si fermarono in Piazza Garibaldi, armati di fucili mitragliatori, con atteggiamento fiero e minaccioso. Scesero dai veicoli, percorsero le vie principali, osservando la popolazione attonita e intimorita, poi ripartirono verso Cassino. Ma era solo l’inizio. Nel pomeriggio arrivarono altri reparti, che cominciarono subito a requisire case, viveri e mezzi di trasporto.
Per Atina iniziava un lungo periodo di paura, privazioni e occupazione.
La vita quotidiana sotto l’occupazione
Tra i primi ricordi di quei giorni ci sono quelli di Chiara Cocchiara, allora undicenne. Dalla sua casa in via Vittorio Emanuele vide arrivare i soldati tedeschi, che fermavano gli abitanti per chiedere alloggi e stalle per i cavalli. La paura era tanta, ma la gente cercava di obbedire.
Col tempo, la bambina riuscì perfino a stringere amicizia con alcuni militari, ricevendo in dono pane nero e zollette di zucchero — piccoli gesti che, in un’epoca di fame e razionamento, avevano un valore immenso.
Il regime, già prima dell’armistizio, aveva imposto la consegna dell’oro e delle fedi nuziali, del rame e persino dei pneumatici. Appena arrivati, i tedeschi requisirono tutte le automobili rimaste. Il padre di Chiara dovette consegnare la propria vettura, e poco dopo anche la radio, portata all’ufficio comunale a proprie spese.
Atina divenne una città occupata: i soldati si installarono in ogni casa e casolare, occuparono il Circolo dell’Unione, la sede della Croce Rossa e il Palazzo Visocchi, dove istituirono un Comando militare. Il Banco di Napoli, le scuole e persino la caserma dei Carabinieri furono presi con la forza. Il maresciallo e i suoi uomini vennero disarmati e allontanati.
Il terrore e i segni del regime
L’atmosfera si fece presto cupa e sospettosa. La notte del 12 settembre, la notizia della liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi scatenò in paese grida e canti fascisti. Il giorno dopo, sotto l’Arco dell’Assunta, furono appese le fotografie di Hitler e del Duce, sorvegliate per otto giorni da guardie notturne: un simbolo inquietante che segnava il ritorno dell’ombra del totalitarismo.
I racconti degli sfollati
Molti abitanti decisero di fuggire. Tra loro la famiglia del dottor Renato Bartolomucci, che lasciò la propria casa in via Vittorio Emanuele per rifugiarsi nella tenuta agricola di Castellone, a Picinisco. Quella del primo ottobre 1943 — giorno della festa di San Marco — fu la data in cui il giovane Renato abbandonò per sempre la sua casa natale.
Intanto, uomini come Raffaele Coppola, soldato in servizio a Torino, cercavano disperatamente di tornare alle loro famiglie. Partito l’8 settembre, impiegò venti giorni per arrivare a casa. Un soldato tedesco gli offrì un passaggio su un sidecar fino ad Atina: un viaggio pieno di paura e tensione, concluso con un caffè condiviso in Piazza Saturno, in un surreale momento di tregua tra nemici.
Le requisizioni e la devastazione economica
Il 10 ottobre 1943 i tedeschi iniziarono a smontare il macchinario della Cartiera Visocchi, un’industria che per cento anni aveva dato lavoro a oltre trecento famiglie. Nel giro di otto giorni, le macchine, le scorte e oltre quattromila quintali di carta furono caricate e inviate in Germania. La fabbrica fu saccheggiata e devastata, segnando la fine di una delle più importanti attività economiche della Valle di Comino.
Atina nella Linea Gustav: un nodo strategico
Con l’avanzata alleata verso Cassino, i tedeschi trasformarono Atina in un punto nevralgico della loro Linea Gustav, la grande barriera difensiva che attraversava l’Italia da Ortona a Gaeta.
Atina era un nodo strategico per i collegamenti tra Cassino, Roccasecca e Sora, oltre che punto di passaggio verso San Biagio Saracinisco, Cardito e le Mainarde. Hitler stesso, nel novembre 1943, ordinò di rendere la Linea Gustav “salda come una fortezza”.
Le truppe tedesche si stabilirono così nei paesi della Valle di Comino — San Biagio, Picinisco, Settefrati, Villa Latina, Belmonte Castello — trasformando ogni borgo in una retrovia fortificata. La popolazione, intanto, era ridotta alla fame e alla paura.
L’inverno del 1943 e l’avvicinarsi della battaglia di Cassino
Il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, ma fu un gesto più politico che militare: gli italiani, ormai disarmati, furono impiegati come portatori e manovali per l’esercito alleato.
Nello stesso periodo, gli Alleati attraversarono il Volturno, avanzando lentamente tra le piogge e il fango verso le valli del Garigliano e del Rapido. Davanti a loro si ergeva Cassino, cuore della difesa tedesca.
A Montecassino, l’abate Diamare e il colonnello Schlegel, della divisione Hermann Göring, coordinarono l’evacuazione delle opere d’arte, portate a Roma per salvarle dalla distruzione. L’operazione durò dal 16 ottobre all’8 dicembre 1943.
Quando anche i monaci lasciarono l’abbazia, la guerra era ormai alle porte di Atina.
L’occupazione tedesca ad Atina rappresentò uno dei periodi più drammatici della sua storia. La popolazione visse mesi di paura, fame e privazioni, ma anche di coraggio silenzioso e resistenza morale. Le famiglie divise, le case requisiti, le industrie depredate e i luoghi sacri violati rimasero a lungo impressi nella memoria collettiva della Valle di Comino, preludio alle tragedie del 1944 e alla futura liberazione.