Oggi, 16 febbraio 2020, splendida passeggiata, salendo dalla “Madonnella” e seguendo il percorso verde tracciato e segnato sulla mappa della Collina di S. Stefano, realizzata dalla Rete Naturalmente Atina.
Questo percorso, che potremmo anche chiamare “delle Mura Ciclopiche”, si sviluppa infatti sopra il primo circuito delle mura poligonali che racchiudeva l’antica città pre-romana, passando sotto il podio dell’Acropoli, racchiuso entro i resti della rocca medievale.
Da lì, godendo sempre di una vista spettacolare sul versante orientale della Valle di Comino con sullo sfondo il Massiccio appenninico del Monte Meta e delle Mainarde, si raggiunge Valle Giordana, dov’è l’inizio del percorso azzurro dell’Acquedotto Romano.
Le mura ciclopiche, rappresentano un unicum delle città protostoriche del Lazio Meridionale.
In particolare Atina, Alatri, Arpino, Aquino, Antino-Ferentino, l’antica pentapoli Saturnia di cui scrisse uno studioso arpinate del 1600, Bernardo Clavelli. Esse sono presenti anche in altri centri del frusinate (Sora, Montecassino, Castro dei Volsci, Veroli, ecc.), del Lazio (Cori, Norba, Circeo) e dell’Umbria (Amelia).
Il percorso verde
delle Mura Ciclopiche di Atina
Furono i viaggiatori del Gran Tour e studiosi delle antichità che percorsero l’Italia nel periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento (Gell, Dodwell, Marianna Candidi Dionigi, ecc.) ad assegnare loro il nome di “ciclopiche” per la somiglianza con quelle delle città della Grecia antica di Micene e Tirinto. Per questo furono chiamate anche “Pelasgiche”, perché attribuite a quell’antico popolo che dal Mediterraneo Orientale si diffuse nel Sud dell’Europa (Petit-Radel).
Gli storici successivi hanno preferito invece chiamarle poligonali (perché formate da massi di forma irregolare) o megalitiche (perché formate da grandi massi). Fatto sta che Gregorovius, uno dei più famosi viaggiatori della metà dell’Ottocento, a proposito delle Mura di Alatri, scrisse: “Allorquando mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica [l’Acropoli], conservata in ottimo stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai un’ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella che mi aveva ispirato la vista del Colosseo… una razza che poté costruire tali mura, doveva già possedere un’importante cultura e leggi ordinate”.
Arpino è famosa per la porta ogivale. Le mura di Atina appartengono alla I e II maniera della classificazione dello studioso Giuseppe Lugli e racchiudono una delle aree urbane più vaste dell’antichità.
Sulla loro datazione c’è ancora molta incertezza. Ma sicuramente, secondo chi scrive, non hanno niente a che fare con le tecniche costruttive messe in atto dai Romani in epoca storica.
Orazio Paolo Riccardi