All’inizio del primo millennio dell’evo antico, all’incirca verso la fine dell’Età del bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro, non c’è più alcuna traccia degli antichi signori, segnatamente dei Pelasgi, che nei secoli precedenti avevano dominato l’Italia Centrale. Forse alcuni erano tornati nella loro patria, forse altri si ricongiunsero con gli antichi e altrettanto misteriosi cugini, i Tirreni, o Tyrsenoi, oppure, come si definivano nella loro lingua, Rasenna o Rasna (Mommsen) che, secondo alcuni storici antichi, provenivano dallo stesso triangolo formato da Grecia, Mar Egeo e Turchia (Ellanico di Lesbo, Erodoto). Invece, secondo altri (Dionigi di Alicarnasso e studiosi moderni sulla base dello studio del DNA) erano autoctoni e, secondo altri ancora (Tito Livio e studiosi moderni per affinità linguistiche), provenivano dalla Rezia (Trentino).
Gli Etruschi, come li conosciamo noi (nome derivante dal latino Tusci o Etusci), erano insediati in quel tratto di costa prospicente il Mar Tirreno, che dagli stessi aveva preso il nome, comprendente la Toscana e il Viterbese. E’ certo, comunque, che con la loro comparsa e con quella di altri greci che si erano stabiliti in Sicilia e nell’Italia Meridionale, conosciuta poi come Magna Grecia, quella fitta coltre di nebbia che aveva avvolto la storia dell’Italia incominciò a diradarsi. Popolo colto e raffinato, dedito al commercio e all’arte militare, spinse le sue attenzioni sulla Pianura Padana, sull’Italia Centrale e anche sulla Campania, dove stabilì delle colonie a Capua e in altri centri. Nel periodo di massimo splendore, fra VIII e VI secolo a.C., si insediò anche nelle Valli del Sacco e del Liri (De Rossi, Rizzello, Bittiddu, Galluzzi e Fortini) e si impossessò delle miniere del Monte Meta, dominando la Valle di Comino che rappresentava anche una via di collegamento con le colonie campane (G. Colasanti 1928). Secondo lo stesso studioso “In quest’epoca remota il centro di tutta la regione appare a nord della zona delle miniere, cioè principalmente nella regione di Atina, ove si dovevano convogliare ed accentrare i preziosi minerali della montagna”. E, lo stesso, citando Dionigi di Alicarnasso, scrive di “un’arteria stradale che moveva dalla regione reatina ed attraverso alcuni centri aborigeni lungo la Valle del Salto conduceva al Lazio”. Altre fonti molto antiche raccontavano di un’altra via pedemontana, frequentata da molti popoli durante le loro migrazioni, che collegava Veroli a Sora, quindi Atina, Venafro, fino alla Valle del Volturno e, da Atina per Cassino, fino alle fertili pianure della Valle del Liri e della costa tirrenica Laziale-Campana. La Valle di Comino, quindi, in quel periodo storico si trovò al centro di un sistema viario articolato e funzionale agli scambi fra l’Appennino e l’entroterra abruzzese e la Campania, fondati soprattutto sui minerali e sulla lana, considerato anche che in Atina c’era un importante mercato degli ovini (forum pecuarium) nel periodo romano, ma sicuramente di più antica tradizione (Pistellato), a supporto della pratica della transumanza.
Il popolo degli Etruschi, nel corso della sua espansione nel Lazio meridionale, dovette scontrarsi con i popoli autoctoni e, in particolare con i Volsci, appartenenti al ceppo originario Osco-Umbro-Sabellico o Safino.
La dura lotta dei Volsci per liberarsi dal giogo dei dominatori Etruschi fu immortalata sempre nell’Eneide (seppure posticipata di alcuni secoli, per rafforzare o attribuire alla gens Giulia – Cesare, Augusto – le origini divine, da Venere), dove il più grande poeta del periodo romano, Virgilio, inserisce la mitica figura della Regina Camilla, fiera avversaria di Enea e dei suoi alleati Etruschi. Con lei combatteva anche l’Acer Atinas e insieme furono costretti a ripiegare a causa di un furibondo attacco della cavalleria troiana (XI. 868: “Prima fugit, domina amissa, levis ala Camillae:/Turbati fugiunt Rotuli, fugit acer Atinas”). Poi Camilla fu uccisa da una freccia scagliata dal giovane Etrusco Arunte. Forse, ironia della sorte, si trattava di un antenato dei facoltosi Arrunzii di Atina, padre e figlio, ambedue Lucio e ambedue Consoli romani all’inizio dell’epoca imperiale, discendenti, come si evince dal praenomen Arruns (diffuso nella zona di Chiusi), degli antichi dominatori Etruschi, che ritroviamo possessori di vasti latifondi nella zona est della Valle di Comino. Anche un’altra importantissima famiglia di Atina, imparentata strettamente con l’Imperatore Augusto, quella dei Senzi-Saturnini, era di origini Etrusche.
Dopo Virgilio, anche Dante Alighieri, volle immortalare all’inizio del suo capolavoro, la Divina Commedia, canto I dell’Inferno (v. 100-111), la figura della Regina dei Volsci nella celebre “profezia del veltro”, secondo la quale un eroe o un principe, rappresentato appunto dal levriero (il suo nome antico era veltro) “farà morir con doglia” la famelica lupa (la cupidigia, in senso figurato, secondo l’interpretazione prevalente) e sarà promotore del riscatto dell’Italia, come dai seguenti celeberrimi versi: “Di quella umile Italia fia salute/per cui morì la vergine Camilla/Eurialo e Turno e Niso di ferute”.
Nonostante il sacrificio di tanti eroi, l’influenza della civiltà etrusca durò a lungo nella regione. “Né la ventata della rivolta indigena, né le conquiste sannitiche (e, aggiungiamo volsche), né il durevole dominio romano valsero a cancellarne per secoli e secoli le tracce … e la toponomastica della regione, nei suoi elementi essenziali e preminenti, risale a questa remota civiltà” (Colasanti 1928).
Ma dopo un certo periodo e nella fase di decadenza degli Etruschi, i bellicosi Volsci riuscirono a spezzare le catene del loro dominio. Discendenti degli Osci, secondo molte fonti scesero dalla piana di Avezzano e occuparono tutta quella vasta zona compresa fra gli Appennini – Gruppo Monte Meta – e il Mar Tirreno, fra Anzio e Formia. Sicuramente entrarono in competizione con gli Aurunci e gli Ausoni (questi ultimi diedero il primitivo nome di Ausonia all’Italia). Erano distinti in due gruppi, i Volsci Anziati, con capitale Anzio e i Volsci Ecetrani con capitale Ecetra, una città oggi scomparsa e, questi ultimi, avevano come centri principali Frosinone, Fregellae, Castro dei Volsci, Sora, Arpino, Cassino, Venafro e Atina. “L’analisi dei reperti, in gran parte di tipo funerario, presenti nei musei di Atina e Cassino risalenti al periodo a cavallo fra VI e IV sec. A.C., inducono ad individuare l’appartenenza di Atina e della Valle di Comino (oltre che delle zone confinanti a nord-ovest dell’Alto Sangro – Opi, Villetta Barrea, Alfedena, anche della Media Valle del Liri – Sora, Arpino, Cassino) al nucleo montano della nazione volsca” (Innico). Dello stesso parere è Anna Maria Reggiani. E, a proposito dei monili di età arcaica orientalizzante (VIII/VII sec. a.C.) della Collezione Pigorini, provenienti da Atina, essi attestano “la presenza di una società evoluta ed organizzata intorno a personaggi di rango” (Cifarelli).
Con gli altri popoli di origine Osco-Umbro-Sabellica (Ernici, Equi, Marsi, Marrucini, Piceni, Peligni e Sanniti), avevano in comune molti usi e costumi come l’organizzazione sociale, militare e politica (città-stato confederate) e i culti religiosi, che probabilmente derivavano dal periodo delle precedenti migrazioni di popoli dall’Egeo, come quello della dea Mefite, di Ercole e della dea Cerere, legati al commercio e alla transumanza, di cui si hanno buone attestazioni in tutto il territorio (Valle di Canneto a Settefrati, S. Maria del Campo ad Alvito, Pescarola a Casalvieri, S. Nazario a Casalattico).
Nella veste di città volsca Atina, probabilmente, anche se non ci sono attestazioni né a favore e nemmeno contro questa ipotesi, partecipò alle guerre che videro contrapposti i Romani agli altri Popoli Italici.
Orazio Paolo Riccardi