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San Nicandro e San Marciano Martiri

Ci sono state diverse opinioni riguardo alla patria di questi santi, all’imperatore che li condannò a morte e al luogo dove furono sepolti dopo il martirio.

Secondo Paolo Regio, vescovo di Vico Equense, Nicandro e Marciano erano di origine africana. Egli afferma:

“Questi, nati a Emesa da nobili genitori, secondo il mondo, nella regione africana…”

Tuttavia, lo stesso autore riconosce Passicrate, Papiniano e Zotico come veri Atinati, legati ai martiri Nicandro e Marciano per sangue e parentela.

Alcuni studiosi sostengono che il loro martirio sia avvenuto sotto la persecuzione di Massimiano, riferendosi forse a Massimiano imperatore, invece che a Massimo, il prefetto.

Infine, si ritiene che i corpi di Nicandro e Marciano siano stati sepolti ad Atina, come riportato nella Cronaca inserita nel primo tomo dell’Italia Sacra.

San Nicandro e San Marciano accanto al corpo di San Marco Martire, costruendo un piccolo oratorio in loro onore.

Un antico Martirologio manoscritto, ancora conservato ad Atina, riporta:

“Presso la città di Atina, il natale di San Nicandro e San Marciano, i quali, essendo soldati, per la loro fede in Cristo furono imprigionati per lungo tempo sotto il prefetto Massimo e infine decapitati. Furono sepolti nell’episcopio della stessa città, accanto al corpo del beatissimo Marco Martire. In quel luogo riposano anche molti altri santi.”

Con il ritorno della pace per i cristiani, il vescovo e il popolo di Atina costruirono una maestosa basilica nel luogo dove si trovava la sede episcopale. Qui posero un magnifico sepolcro in pietra per i santi martiri.

Anche il Martirologio Romano, pubblicato nel 1583 per ordine di Papa Gregorio XIII, riporta:

“Ad Atina, il martirio dei santi Nicandro e Marciano, che furono decapitati durante la persecuzione di Massimiano. La moglie di Nicandro, Daria, lo seguì e dopo tre giorni fu anch’essa coronata con il martirio.”

Il Cardinale Cesare Baronio, nel suo Martirologio, non solo conferma il martirio di San Nicandro e San Marcianodurante la persecuzione di Massimiano, ma aggiunge anche che i loro corpi sono stati traslati a Venafro. Nel suo testo, si legge:

“Apud Venafrum Sanctorum Martyrum Nicandri et Marciani, qui in Persecutione Maximiani, capite caesi sunt.”
(Presso Venafro, il martirio dei santi Nicandro e Marciano, che furono decapitati durante la persecuzione di Massimiano).

Baronio riporta anche che la festa di questi santi è celebrata annualmente nella Chiesa orientale, il 16 giugno, dove vengono descritti i tormenti subiti dai martiri:

“I santi Nicandro e Marciano, a causa della loro fede cristiana, furono imprigionati sotto il prefetto Massimo. Poiché non riuscirono a negare la loro fede, furono torturati con uncini di ferro, appesi su travi e trascinati, scagliati su carboni ardenti, frustati, immersi in aceto e sabbia, e infine decapitati.”

Il Martirologio Romano menziona anche il loro passaggio per Venafro e Atina, con Nicandro sepolto a Venafro e Marciano ad Atina. Si narra anche che la moglie di Nicandro, che lo aveva incoraggiato nel suo martirio, fu condannata a morte tre giorni dopo e si unì al marito nel martirio.

Inoltre, nel testo di Pietro Diacono, si racconta che la chiesa di San Nicandro fu dedicata da Papa Gelasio lungo la via Lavicana, come testimoniato da un documento antico.

Queste informazioni ci offrono una visione storica e liturgica che sottolinea l’importanza di Nicandro e Marciano nella tradizione cristiana, non solo come martiri ma anche come simboli di fede e coraggio per la comunità cristiana.

Nel libro di Pietro Paolo Florio, scritto da Urbino, in cui si racconta la storia dei santi protettori della città di Atina, l’autore descrive la vicenda dei martiri Nicandro e Marciano con una particolare enfasi sulla loro venerazione e le rispettive sepolture. Florio narra che, alla notizia della morte dei gloriosi cavalieri di Cristo, i popoli di Atina e Venafro, che si trovano ai confini delle terre dove furono martirizzati, si recarono insieme a rendere onore ai corpi dei santi.

Florio scrive che tra questi popoli, insieme a Fulgentio, vescovo di Arpino, e il suo clero, si trovavano anche ZoticoPapiniano, fratello del martire Paficrate, e molti altri fedeli. Insieme, si recarono per rendere omaggio ai santi martiri, portando i corpi di Nicandro e Marciano con grande onore e sepoltura, rispettando le usanze del tempo.

Il corpo di uno dei martiri fu preso dagli Atinati e sepolto vicino alle reliquie di San Marco, in segno di grande rispetto e devozione. Florio sembra così voler sottolineare l’importanza di questi santi non solo per la città di Atina, ma anche per l’intera regione, riconoscendo il loro martirio come un atto di grande coraggio e fede che ha avuto un impatto significativo sulle comunità locali.

Ciò è in parte confermato da Pietro Diacono di Montecassino, il quale, nelle vite e nel martirio che egli scrisse di questi santi, riporta:

“Venendo il vescovo di Atina di notte, insieme con il suo clero, accompagnato da Zotico e Papiniano, fratello del beato martire Pasicerate, con le loro mogli, parenti e tutta la comunità cristiana, prelevarono i venerabili corpi e, come era giusto per martiri così grandi, li deposero degnamente in sepoltura accanto al corpo del beato martire Marco.”

Pietro de Natalibus, nel suo Catalogo dei Santi (libro 5, capitolo 50), riporta quasi le stesse informazioni, con la sola variazione del nome del prefetto, e scrive:

“I martiri Nicandro e Marciano, durante la persecuzione dei pagani, furono arrestati nella città di Atina dal prefetto Malmiano. Poiché si rifiutarono di sacrificare agli dèi, furono imprigionati per venti giorni e sottoposti a torture. Poi fu ordinato che venissero condotti alla decapitazione. La moglie di Nicandro, una giovane donna, lo esortò a rimanere saldo nella fede in Cristo, ma per questo fu trattenuta dai pagani. I santi martiri furono bendati con due fazzoletti e decapitati; tre giorni dopo, anche la moglie di Nicandro subì la condanna capitale per la sua confessione di fede. I cittadini di Venafro posero il corpo di San Nicandro nella loro città, mentre gli abitanti di Atina collocarono il corpo di Marciano nel loro borgo. Infatti, i martiri subirono il supplizio in un territorio situato tra queste due città, nel giorno nono delle calende di luglio (23 giugno).”

Dunque, considerando l’autorità di Pietro Diacono di Montecassino, che scrisse il martirio di questi santi con il titolo Passione dei Santi Martiri Atinati Nicandro e Marciano, e la corrispondenza tra le fonti, è verosimile che questi santi fossero realmente di Atina. Lo si deduce anche dal gran numero di parenti che parteciparono alle loro esequie e dalla presenza di Fulgenzio, vescovo di Atina, con tutto il suo clero, per raccogliere e distribuire le reliquie tra le due città citate.

Anche il Diacono e il Flotii, oltre al dotto e stimato Silvestro Ajossa di Capua, studioso delle Sacre Scritture, analizzando antichi manoscritti sui martiri, con solide argomentazioni dimostrarono chiaramente che Nicandro e Marciano non nacquero in Africa, ma in queste nostre terre. Tuttavia, lascio agli altri il giudizio su questo argomento.

Seguendo le cronache di Pietro Diacono e di altri autori, risulta che i corpi dei santi furono sepolti dal vescovo Fulgenzio II di Atina, e che il loro martirio avvenne sotto l’imperatore Domiziano e il prefetto Massimo. Infatti, Fulgenzio fu nominato vescovo successore di San Marco Galileo da Papa Clemente I, durante il regno di Domiziano, e non sotto Massimiano, come alcuni sostengono.

Per quanto riguarda il luogo in cui furono inizialmente deposte le loro reliquie, non vi sono altre informazioni oltre a quelle riportate dagli autori citati e nel Catalogo dei Vescovi della Città di Atina. Tuttavia, risulta che per molti anni la città di Atina ne mantenne il possesso, finché le reliquie furono trasferite altrove. Non si conosce esattamente né il tempo, né il motivo, né il luogo del trasferimento, né chi lo effettuò.

L’unico riferimento che abbiamo è quello di Pietro d’Atina, cancelliere apostolico del Sommo Pontefice Gregorio IX, il quale, nel libretto che pubblicò sul ritrovamento e la traslazione del corpo di San Secondino, martire di questa città, scrisse:

“Ivi, Nicandro e Marciano, gloriosi martiri, insieme a molti altri, secondo le antiche storie, versarono il loro sangue per Gesù Cristo. In quel luogo fu costruita una chiesa in onore di San Marciano, che è rimasta integra fino ai nostri giorni. Tuttavia, i corpi di Nicandro e Marciano furono traslati in altre regioni, senza che sia specificato il tempo, la causa, il luogo o chi effettuò il trasferimento.”

Marco Antonio Palombo, nelle sue Annotazioni e aggiunte al Catalogo dei Vescovi di Atina, parlando del vescovo Felice e citando Giovanni Battista Manzo di Napoli, fornisce ulteriori dettagli con queste parole:

“Giovanni Battista Manzo, napoletano, afferma che il corpo di San Marciano, sepolto ad Atina, fu traslato a Benevento dal duca longobardo Gisulfo e collocato nella chiesa di Santa Sofia, così come il corpo di San Nicandro, che era stato sepolto a Venafro, fu traslato dal suo successore Arichi nella stessa città.”

Nelle stesse annotazioni, Palombo cita anche il nostro concittadino antiquario Luigi Galeoto, che sostiene che questi corpi furono trasferiti a Venafro nello stesso periodo in cui i Longobardi distrussero la città di Atina. Egli scrive:

“Aloysius Galeotus afferma che le reliquie furono traslate a Venafro quando i Longobardi devastarono Atina.”

Questa è l’unica informazione certa che si ha sul trasferimento delle sacre reliquie. Attualmente, una piccola porzione è conservata ad Atina e nella città di Isernia, mentre la maggior parte delle reliquie si venera nella città di Venafro, dove gli abitanti di Atina si recano spesso per pregare e ricevere grazie.

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