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Storia

I Borghi della Valle di Comino

    La Valle di Comino è ricca di borghi, grandi e piccoli, disseminati nel suo territorio. Quelli più grandi sono attualmente i capoluoghi dei relativi Comuni. Ma ogni paese ha altri piccoli borghi, arroccati a volte sui crinali dei monti e circondati da boschi o sopra piccole colline, ricche di ulivi o di viti o nelle ubertose pianure, dove vengono coltivati cereali e ortaggi.

    Crogioli di culture e di vicende accumulate nel corso dei secoli, trasmettono oggi un senso di pace, di tranquillità, di tempo che scorre lentamente, di lontananza rispetto agli affanni e al caos della città.

    La scelta della loro posizione rispondeva sia ai canoni delle strategie belliche (controllare una strada, accogliere in caso di pericolo gli abitanti usciti a lavorare i campi, resistere agli attacchi dei nemici e degli invasori), sia alla necessità di attirare il massimo della luce e del calore.

    Sappiamo da molte fonti che, nell’età antica, la scelta del sito e l’orientamento dell’acropoli e della nuova città seguivano un rituale particolare. Forse fu così anche per la “prisca” Atina (Marziale) della Saturnia Tellus (la Terra di Saturno nell’età dell’oro), la prima ad assumere la connotazione di “grande e potente città” (Virgilio, Eneide) e così rimase durante il periodo romano.

    Poi i suoi “vici” e i suoi “pagi” sparsi nella Valle diventarono, nell’età di mezzo, prima Castelli, poi borghi murati, quindi Universitas e, infine, gli altri Comuni con le loro contrade.

    La pianta di ogni borgo è quella medievale, derivata dall’antico, con una piazza centrale sulla quale si affacciano i palazzi del potere temporale e spirituale e da cui si irradiano le vie principali, fino alle porte che servivano ad imporre la gabella e a proteggere i suoi abitanti dai nemici e dai briganti.

    Un labirinto di stretti vicoli, scoperti o coperti (detti spuort – sporti e, anche, vrutt – grotte), portano in slarghi o piazzette, palcoscenici naturali che hanno come quinte altri palazzotti nobiliari o altre chiese, fulcro dei piccoli rioni nei quali sembra ancora di udire il chiacchiericcio di generazioni di comari o le urla dei bambini e degli adolescenti intenti nei loro giochi, o il rumore delle seghe e dei martelli degli artigiani.

    Ad ogni angolo si fanno delle scoperte, come un’elegante bifora, scampata alle distruzioni causate dai terremoti e dalle guerre o, più avanti, una feritoia, testimone dello scopo difensivo di un tratto di mura, inglobato poi in una casa.

    Non mancano epigrafi, simboli esoterici e filetti o triple cinte, incise su blocchi di pietra riutilizzati in epoche successive. Sui portali delle chiese e delle case risaltano figure geometriche, motivi floreali, angeli, mostri e mascheroni, ispirati dai testi classici e dalle antiche commedie. Anche i portoni, le balaustre dei balconi e le ringhiere sono piccole opere d’arte che, quasi per caso, appaiono davanti al visitatore.

    Negli scantinati dei vecchi palazzi sono conservati resti di costruzioni ancora più remote, cisterne e frantoi, basamenti di edifici di epoca romana e tratti di antiche mura. Come un libro aperto, sul quale scorrono tremila anni di storia. Tremila anni di guerre, di terremoti, di carestie e di lieti eventi, come le nascite, che riuscivano a far trionfare il senso della vita anche nei momenti più brutti.

    Riccardi Orazio Paolo

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