A seguito del rovinoso terremoto del 1349, la città di Atina, che all’epoca sorgeva sull’altura di Santo Stefano, fu quasi completamente distrutta. Le violente scosse sismiche rasero al suolo gran parte dell’abitato, lasciando la popolazione attonita e priva di riparo. Come se non bastasse, l’anno successivo, i pochi superstiti, già provati dalla catastrofe, furono colpiti da una terribile pestilenza che ne decimò ulteriormente il numero. Secondo quanto riportato da Marcantonio Palombo nella Ecclesiae Atinatis Historia (XVII secolo), l’epidemia si diffuse “venuta dalla terra, o da altra perturbazione celeste”, riflettendo il pensiero dell’epoca, che vedeva nelle calamità un segno della collera divina o di misteriose influenze astrali.
Travolti da queste tragiche sventure, gli Atinati decisero di abbandonare il vecchio sito e ricostruire la città più a valle, su un’area già fortificata nel XII secolo da re Ruggero il Normanno con un fossato difensivo. “La borgata – scrive ancora il Palombo – rimase piccola a lungo per la grandezza dell’antica città. Si estende per pochi piedi. Ha tre porte. Una a nord, che porta a Santa Maria e che da Santa Maria prende il nome. Una a est, che benché sia vicino a Santa Croce, è detta di San Rocco. La terza è a ovest: è detta porta Fontana, perché da essa si passa per andare alla fontana a prendere l’acqua. Ognuna ha una torre”.
Delle tre porte originarie, l’unica giunta fino a noi è proprio questa. Nonostante i secoli trascorsi, si presenta ancora in buono stato di conservazione, mantenendo intatta gran parte della struttura originaria. L’arco a sesto acuto ribassato, sorretto da solidi piedritti con capitelli appena accennati, testimonia la sobrietà dell’architettura medievale e l’importanza strategica che la porta rivestiva nel sistema difensivo della nuova Atina.
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